LABORATORIO 4, officina locale di Ferrone, Bocchetti e Faicchia


 L’ effetto della socialità virtuale... sui consulenti e nell'equipe
Caro collega,...ma sei connesso?

Quando si è nel vivo del lavoro socio-educativo ci si ritrova spesso a pensare che occorra fare qualcosa di più e di diverso, onde promuovere momenti di apprendimento e di crescita che esulino dalle forme canoniche di mera trasmissione del “sapere” (conoscenze) e del “saper fare” (competenze), per attivare piuttosto ciò che dimora nel profondo, nelle nostre sfere più intime: il “saper essere” (flessibilità, creatività) e il “saper sentire” (passione, energia).
Per favorire tutto questo è necessario allestire il giusto setting, uno spazio stabile, significativo ma dotato di movimento e di funzione trasformativa. Infatti, c’è sempre bisogno di uno spazio fisico accogliente - che solleciti un appropriato clima comunicativo ed emotivo - e di un tempo dedicato. Tuttavia è altresì necessario che si creino anche spazi mentali ed emotivi indispensabili a favorire la reciproca conoscenza e a superare preliminari inibizioni e comprensibili disagi, andando ad accrescere la disposizione interiore, l’attenzione, lo sguardo vigile rispetto a ciò che succede “dentro” e “fuori” di Sé. È soprattutto in questa dimensione interiore che ognuno di noi sperimenta le innumerevoli possibilità che ha “di essere”: nell’ascoltare l’altro, nel condividere un obiettivo comune, nell’adattarsi al contesto presente, nell’esprimere la propria creatività e personalità.
Scegliere di attuare una modalità laboratoriale attraverso percorsi a mediazione artistica significa, quindi:
-        orientare l’attenzione al processo più che al risultato;
-        attivare in maniera dinamica risorse e disposizioni originali;
-        favorire un ascolto diretto e immediato (non mediato, cioè, non inquinato da meccanismi, sovrastrutture, stratificazioni culturali) di dinamiche personali, relazionali e comunitarie.


Le attività sono state introdotte da un breve filmato, tratto dal lungometraggio animato “Ralph spacca internet”, con l’idea di offrire una originale rappresentazione del mondo digitale, nel tentativo di rendere “creativamente” fruibile quella realtà macroscopica definita dal prof. Benanti come l’infinitamente complesso. 


Successivamente è stato chiesto a ciascuno di rappresentarsi attraverso le proprie connessioni, focalizzando l’attenzione sui seguenti punti:
-         Cosa mi spinge ad essere connesso?
-         Come sono cambiate le mie relazioni?
-         Quali significati attribuisco agli strumenti digitali?
-         Mi sento integrato o apocalittico?
-         Come mi interfaccio con gli strumenti digitali nella mia dimensione professionale? E in quella privata?
Da qui è partita la consegna di realizzare un collage, dove l’incontro tra “virtuale” e “reale” diventasse possibile Ciascuno è partito da se stesso, dalle personali condizioni di vita relazionali e socio/ambientali, passando in rassegna le proprie convinzioni, le proprie esperienze, i propri atteggiamenti e stili comportamentali.
Da qui è partita la consegna di realizzare un collage. I partecipanti sono stati invitati a visionare il materiale messo a disposizione (riviste, gomitoli di lana, pastelli, pennarelli, pasta da modellare), mentre l’incontro con le “immagini”, sia interne che esterne, avveniva in un momento percepito come privilegiato: di concentrazione e di intimità. E pian piano si componeva, sotto i nostri e i loro occhi, una sorta di piccola coreografia, dove l’incontro tra “virtuale” e “reale” diventava possibile.



In questo senso il gruppo ha offerto quel riconoscimento e quel contenimento necessario agli astanti, configurandosi, nella sostanza, come un importante punto di riferimento, una “rete” a cui aggrapparsi, restituendo a ciascuno autonomia di pensiero, competenze, capacità di adattamento, creatività e passione. Tutti si sono dimostrati generosi e disponibili al racconto di sé e all’ascolto reciproco. Ciò ha rappresentato una condizione determinante nel promuovere una riflessione personale e profonda, con argomentazioni varie, su quanto la “digitale age” abbia a che fare con l’identità, incidendo sulla percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo, in un tempo dove sembra prevalere la dimensione virtuale e artificiosa della realtà. In questo cambio di prospettiva ciascuno è partito da se stesso, dalle personali condizioni di vita relazionali e socio/ambientali, passando in rassegna le proprie convinzioni, le proprie esperienze, i propri atteggiamenti e stili comportamentali.

Il lavoro si è concluso con questa seconda consegna: ”qual è la vostra pay off? Il messaggio che ciascuno vuole comunicare al mondo attraverso il proprio collage?”.
Largo spazio, dunque, a percezioni e sensazioni, a emozioni e sentimenti suscitati dal contatto diretto della persona con la propria realtà:

-        sei tu che dai il senso, puoi perderti in infernet o puoi cercare ciò che ti serve
-        l’integrazione senza dimenticare l’essere
-        Internet è un mondo da esplorare ma a piccole dosi
-        Connessi tra dubbio e possibilità
-        È tutto veramente così positivo?
-        Vivere, navigare restando se stessi
-        Apocalitticamente integrata

-       

Ma alla fine… dietro allo strumento ci sono io
-        Sono qui… con-tatto
-        In ogni caso è l’oggi e sarà il domani
-        Metti te stesso nella tua vita
-        Ma è veramente tutto così positivo?
Le persone che hanno partecipato alla sessione di gruppo si sono rivelate, seppure in modi diversi, motivate dal bisogno di nutrirsi attraverso il confronto, accettando di condividere un’esperienza insolita quanto inattesa. Dunque è accaduto ciò che abitualmente avviene se si lavora in un’officina, dove si opera manualmente, dove si vive il corpo a corpo con le cose, per cui ci si sporca, ci si scotta, ci si stanca.
La finalità di questa esperienza “in laboratorio” non è stata, pertanto, quella di trasferire conoscenze e informazioni, come alcuni partecipanti si aspettavano che accadesse, ma di promuovere il “sapere incorporato”, quelle conoscenze e competenze che passano soltanto attraverso la relazione tra Sé e Sé, tra vari aspetti del Sé, e tra Sé e gli altri, sollecitando una riflessione non solo sulle azioni compiute e sulle situazioni esperite, ma anche sul proprio modo di elaborare il pensiero e di sviluppare nuove competenze.
Potremmo descrivere questa esperienza di scoperta come un “vedersi agire ed un vedersi pensare, osservare ed osservarsi, riguardo a emozioni, vissuti, atteggiamenti e significati. Ciò rende possibile, da un lato, la decostruzione di abitudini e routine, di azioni e procedure che, solitamente, si compiono “senza pensarci” e, dall’altro, la dismissione di abiti mentali e schemi interpretativi obsoleti e consolidati, che non consentono alle persone di pensare “oltre e altrimenti”.
Attraverso questo laboratorio esperienziale ci siamo dunque riproposti di mettere sullo sfondo pre-giudizi e pre-visioni perché ciascuno potesse incontrare e confrontarsi con la propria realtà, per quel che è e per come essa stessa si presenta. Ciò ha favorito l’emersione di stralci di una quotidianità che ci invita a maturare una diversa consapevolezza: non è la realtà che deve cambiare, ma il nostro sguardo, il nostro modo di approcciare il mondo. La riflessione del gruppo è dunque convogliata nella direzione indicata da una delle partecipanti e che si riferisce a quanto magistralmente formulato da William Arthur Word:

“È impossibile, disse l’orgoglio.
È rischioso, disse l’esperienza.
È inutile, tagliò la ragione.
Provaci, sussurrò il cuore”