L’ effetto della socialità virtuale... sui
consulenti e nell'equipe
Caro collega,...ma sei connesso?
Quando si è
nel vivo del lavoro socio-educativo ci si ritrova spesso a pensare che occorra
fare qualcosa di più e di diverso, onde promuovere momenti di apprendimento e
di crescita che esulino dalle forme canoniche di mera trasmissione del “sapere”
(conoscenze) e del “saper fare” (competenze), per attivare piuttosto ciò che
dimora nel profondo, nelle nostre sfere più intime: il “saper essere”
(flessibilità, creatività) e il “saper sentire” (passione, energia).
Per favorire
tutto questo è necessario allestire il giusto setting, uno spazio stabile,
significativo ma dotato di movimento e di funzione trasformativa. Infatti, c’è
sempre bisogno di uno spazio fisico accogliente - che solleciti un appropriato
clima comunicativo ed emotivo - e di un tempo dedicato. Tuttavia è altresì necessario
che si creino anche spazi mentali ed emotivi indispensabili a favorire la
reciproca conoscenza e a superare preliminari inibizioni e comprensibili disagi,
andando ad accrescere la disposizione interiore, l’attenzione, lo sguardo
vigile rispetto a ciò che succede “dentro” e “fuori” di Sé. È soprattutto in
questa dimensione interiore che ognuno di noi sperimenta le innumerevoli
possibilità che ha “di essere”: nell’ascoltare l’altro, nel condividere un
obiettivo comune, nell’adattarsi al contesto presente, nell’esprimere la
propria creatività e personalità.
Scegliere di
attuare una modalità laboratoriale attraverso percorsi a mediazione artistica
significa, quindi:
-
orientare l’attenzione al processo più
che al risultato;
-
attivare in maniera dinamica risorse e
disposizioni originali;
-
favorire un ascolto diretto e
immediato (non mediato, cioè, non inquinato da meccanismi, sovrastrutture,
stratificazioni culturali) di dinamiche personali, relazionali e comunitarie.
Le attività sono state introdotte da un breve
filmato, tratto dal lungometraggio animato “Ralph spacca internet”, con l’idea
di offrire una originale rappresentazione del mondo digitale, nel tentativo di
rendere “creativamente” fruibile quella realtà macroscopica definita dal prof.
Benanti come l’infinitamente complesso.
Successivamente è stato chiesto a
ciascuno di rappresentarsi attraverso le proprie connessioni, focalizzando
l’attenzione sui seguenti punti:
- Cosa
mi spinge ad essere connesso?
- Come
sono cambiate le mie relazioni?
- Quali
significati attribuisco agli strumenti digitali?
- Mi
sento integrato o apocalittico?
- Come
mi interfaccio con gli strumenti digitali nella mia dimensione professionale? E
in quella privata?
Da qui è partita la consegna di realizzare un
collage, dove l’incontro tra “virtuale” e “reale” diventasse possibile Ciascuno
è partito da se stesso, dalle personali condizioni di vita relazionali e
socio/ambientali, passando in rassegna le proprie convinzioni, le proprie
esperienze, i propri atteggiamenti e stili comportamentali.
Da qui è partita la consegna di realizzare un collage. I partecipanti sono stati invitati a visionare il
materiale messo a disposizione (riviste, gomitoli di lana, pastelli,
pennarelli, pasta da modellare), mentre l’incontro con le “immagini”, sia
interne che esterne, avveniva in un momento percepito come privilegiato: di
concentrazione e di intimità. E pian piano si componeva, sotto i nostri e i
loro occhi, una sorta di piccola coreografia, dove l’incontro tra “virtuale” e
“reale” diventava possibile.
In questo senso il gruppo ha offerto quel riconoscimento e quel
contenimento necessario agli astanti, configurandosi, nella sostanza, come un
importante punto di riferimento, una “rete” a cui aggrapparsi, restituendo a
ciascuno autonomia di pensiero, competenze, capacità di adattamento, creatività
e passione. Tutti si sono dimostrati generosi e disponibili al racconto di sé e
all’ascolto reciproco. Ciò ha rappresentato una condizione determinante nel
promuovere una riflessione personale e profonda, con argomentazioni varie, su
quanto la “digitale age” abbia a che
fare con l’identità, incidendo sulla percezione che abbiamo di noi stessi e del
mondo, in un tempo dove sembra prevalere la dimensione virtuale e artificiosa
della realtà. In questo cambio di prospettiva ciascuno è partito da se stesso,
dalle personali condizioni di vita relazionali e socio/ambientali, passando in
rassegna le proprie convinzioni, le proprie esperienze, i propri atteggiamenti e
stili comportamentali.
Il lavoro si è concluso con questa seconda consegna: ”qual è la vostra pay off? Il messaggio che
ciascuno vuole comunicare al mondo attraverso il proprio collage?”.
Largo spazio, dunque, a percezioni e sensazioni, a emozioni e
sentimenti suscitati dal contatto diretto della persona con la propria realtà:
-
sei tu che dai il senso, puoi perderti in infernet o
puoi cercare ciò che ti serve
-
l’integrazione senza dimenticare l’essere
-
Internet è un mondo da esplorare ma a piccole dosi
-
Connessi tra dubbio e possibilità
-
È tutto veramente così positivo?
-
Vivere, navigare restando se stessi
-
Apocalitticamente integrata
-
Ma
alla fine… dietro allo strumento ci sono io
-
Sono
qui… con-tatto
-
In
ogni caso è l’oggi e sarà il domani
-
Metti
te stesso nella tua vita
-
Ma
è veramente tutto così positivo?
Le persone che hanno partecipato alla
sessione di gruppo si sono rivelate, seppure in modi diversi, motivate dal
bisogno di nutrirsi attraverso il confronto, accettando di condividere un’esperienza
insolita quanto inattesa. Dunque è accaduto ciò che abitualmente avviene se si
lavora in un’officina, dove si opera manualmente, dove si vive il corpo a corpo con le cose, per cui ci si
sporca, ci si scotta, ci si stanca.
La finalità di questa esperienza “in
laboratorio” non è stata, pertanto, quella di trasferire conoscenze e
informazioni, come alcuni partecipanti si aspettavano che accadesse, ma di
promuovere il “sapere incorporato”, quelle conoscenze e competenze che passano
soltanto attraverso la relazione tra Sé e Sé, tra vari aspetti del Sé, e tra Sé
e gli altri, sollecitando una riflessione non solo sulle azioni compiute e
sulle situazioni esperite, ma anche sul proprio modo di elaborare il pensiero e
di sviluppare nuove competenze.
Potremmo descrivere questa esperienza
di scoperta come un “vedersi agire ed un vedersi
pensare, osservare ed osservarsi, riguardo a emozioni, vissuti,
atteggiamenti e significati. Ciò rende possibile, da un lato, la decostruzione di
abitudini e routine, di azioni e procedure che, solitamente, si compiono “senza
pensarci” e, dall’altro, la dismissione di abiti mentali e schemi
interpretativi obsoleti e consolidati, che non consentono alle persone di
pensare “oltre e altrimenti”.
Attraverso questo laboratorio
esperienziale ci siamo dunque riproposti di mettere sullo sfondo pre-giudizi e pre-visioni perché ciascuno potesse incontrare e confrontarsi con
la propria realtà, per quel che è e per come essa stessa si presenta. Ciò ha
favorito l’emersione di stralci di una quotidianità che ci invita a maturare
una diversa consapevolezza: non è la realtà che deve cambiare, ma il nostro sguardo,
il nostro modo di approcciare il mondo. La riflessione del gruppo è dunque
convogliata nella direzione indicata da una delle partecipanti e che si
riferisce a quanto magistralmente formulato da William Arthur Word:
“È impossibile,
disse l’orgoglio.
È rischioso,
disse l’esperienza.
È
inutile, tagliò la ragione.
Provaci, sussurrò il cuore”